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We are the world: un’impresa senza precedenti

di Redazione
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We are the world è una delle canzoni più famose e significative della storia della musica. Nata da un’idea del cantante Harry Belafonte, che voleva fare qualcosa per aiutare le popolazioni africane colpite dalla fame, la canzone riunì più di 40 star della musica in una notte indimenticabile. Ma chi sono i personaggi che hanno reso possibile questa impresa? E come si sono incontrati per creare We are the world? Di recente un’importante piattaforma di streaming ha inserito nel suo catalogo il documentario “We are the world: la notte che ha cambiato il pop”, per raccontarci con riprese inedite la notte della registrazione del brano che contribuì a raccogliere milioni di dollari di fondi per combattere la fame in Africa.

Come nacque l’idea di We are the world

Harry Belafonte, cantante, attore e attivista statunitense, noto per aver portato il calypso e il folk nelle classifiche mondiali, nel 1984, dopo aver visto le immagini della carestia in Etiopia, decise di organizzare un progetto umanitario per raccogliere fondi e sensibilizzare l’opinione pubblica. Si rivolse al suo manager, Ken Kragen, un produttore televisivo e discografico che aveva lavorato con artisti come Kenny Rogers, Lionel Richie e Olivia Newton-John. Kragen accettò la sfida e propose di coinvolgere il maggior numero possibile di celebrità della musica.

Lionel Richie era uno dei cantanti più popolari e apprezzati del momento, grazie ai suoi successi da solista e con i Commodores. Kragen lo contattò e gli chiese di scrivere una canzone che potesse essere cantata da un gruppo di artisti. Richie accettò e chiamò Quincy Jones per produrla. Quincy Jones, produttore, musicista e compositore di fama mondiale, che aveva collaborato con artisti come Frank Sinatra, Ray Charles e Ella Fitzgerald la sera della famosa telefonata si trovava insieme a Michael Jackson, il re del pop, che aveva appena pubblicato il suo album Thriller, il più venduto di tutti i tempi. Jackson era entusiasta dell’idea e si mise al lavoro con Richie nella sua villa a Encino, in California per comporre il brano We Are The World.

Organizzare la registrazione: un’impresa titanica

La registrazione di We are the world fu un’impresa logistica e artistica senza precedenti. Mentre Lionel Richie e Michael Jackson lavoravano alla canzone, Ken Kragen si occupava di reclutare gli artisti che avrebbero partecipato al progetto. La data scelta fu il 28 gennaio 1985, la stessa notte degli American Music Awards, una cerimonia di premiazione che vedeva la presenza di molti cantanti famosi. Lionel Richie, che era il presentatore della serata e anche uno dei vincitori, pensò che fosse l’occasione perfetta per radunare i suoi colleghi e amici negli studi A&M di Los Angeles, dove avrebbe avuto luogo la registrazione. Ma non fu facile convincere tutti a partecipare.

Bruce Springsteen, il boss del rock, non sarebbe stato presente agli American Music Awards e proprio il giorno prima (il 27 gennaio) avrebbe concluso il suo tour Born in the U.S.A. Springsteen, che solitamente non viaggiava il giorno dopo un concerto, alla fine fu convinto a partecipare al progetto e a prendere un volo per Los Angeles proprio per il 28 gennaio e ad arrivare in tempo per la registrazione.

Convinto il Boss, riuscirono a coinvolgere anche Bob Dylan, il poeta del folk, che non aveva mai partecipato a una collaborazione di questo tipo. La sua presenza fu fondamentale per attirare altri grandi artisti, come Willie Nelson, Billy Joel e Ray Charles.

Così, grazie alla determinazione di Kragen e Richie, e alla generosità di Springsteen e Dylan, si formò il gruppo di 45 star della musica che avrebbero cantato We are the world. Ma c’era un problema: il 18 gennaio, a dieci giorni dall’ingresso in studio di registrazione, la canzone non era ancora stata scritta. Lionel Richie e Michael Jackson avevano solo dieci giorni di tempo per completare la melodia e il testo, e per decidere come suddividere le parti tra i vari cantanti.

La settimana prima della grande notte

Lionel Richie e Michael Jackson finirono di scrivere la canzone una settimana prima della data prevista per la registrazione e ne registrarono la demo negli studi A&M di Los Angeles, dove avevano scelto di registrare il brano. Al mixer c’era Humberto Gatica, ingegnere del suono che già aveva collaborato con Michael Jackson in Thriller e che in futuro avrebbe collaborato Madonna, Elton John, Céline Dion, Mariah Carey, Tina Turner e tanti, tanti altri.

Richie e Jackson incisero la demo della canzone, cantando tutte le parti vocali, per poterla inviare agli altri artisti che avrebbero partecipato al progetto. Volevano che familiarizzassero con la melodia e il testo, e che si preparassero per la registrazione. Durante la sessione di registrazione della demo, si presentò a sorpresa Stevie Wonder, un altro grande amico e collega di Richie e Jackson. Wonder era venuto per offrire il suo aiuto nella scrittura della canzone, ma Richie e Jackson gli spiegarono che la canzone era già stata scritta e che stavano registrando la demo. Wonder accettò la situazione e si complimentò con loro per il lavoro svolto.

La demo fu spedita quattro giorni prima della registrazione a tutti gli artisti che avevano confermato la loro partecipazione. Tutti erano entusiasti di far parte del progetto.

Due giorni prima della registrazione, si cominciò a decidere l’ordine in cui gli artisti avrebbero cantato la loro parte solista. Fu un lavoro molto difficile, che richiese molta attenzione e sensibilità. Il compito fu affidato a Tom Bahler, un arrangiatore e compositore che aveva lavorato con Michael Jackson e Quincy Jones. Bahler analizzò il timbro di voce di ogni artista e cercò di creare un equilibrio tra le diverse tonalità e stili.

Nel frattempo, Bob Dickinson, tecnico luci, si occupò di montare le luci nello studio di registrazione. In contemporanea alla registrazione, infatti, sarebbero state anche svolte le riprese del video.

La notte che ha cambiato il pop

La notte della registrazione di We are the world fu una notte storica, ma non fu una notte facile, anzi, fu piena di sfide, tensioni, emozioni e sorprese.

Quella sera, Lionel Richie era impegnato a presentare e a vincere diversi premi agli American Music Awards, una delle più importanti manifestazioni musicali dell’anno. Tra i premiati c’era anche Prince, che si aggiudicò il premio per il “Favorite Pop/Rock Album” con Purple Rain battendo Michael Jackson con Thriller. Tuttavia, Michael Jackson nemmeno presenziò la cerimonia, era infatti già negli studi A&M, dove stava preparando la registrazione della canzone. Era lui il principale autore e interprete di We are the world, e voleva che tutto fosse perfetto.

Appena finita la premiazione, tutti gli artisti che avevano accettato di partecipare al progetto furono portati allo studio, dove li aspettava Quincy Jones, il produttore della canzone. Jones era un uomo di grande carisma e autorità, e sapeva come gestire una situazione così delicata e complessa. La prima cosa che fece fu appendere un biglietto nella sala di ripresa, con scritto: “Check Your Ego At The Door”, ovvero “Lasciate l’ego fuori dalla porta”. Era un modo per ricordare agli artisti che quella era un’occasione per fare del bene, e non per mettersi in mostra.

Arrivarono gli artisti e c’era tanta concitazione. Tutte le più grandi celebrità della musica del 1985 erano in quella stanza. C’erano Michael Jackson, Lionel Richie, Stevie Wonder, Tina Turner, Diana Ross, Ray Charles, Paul Simon, Kenny Rogers, Willie Nelson, Billy Joel, Cyndi Lauper, Bob Dylan, Bruce Springsteen e molti altri. Era una vista incredibile, e dopo poco l’elettricità si fece palpabile. In realtà, c’era ancora molto ego lì dentro. Da un lato, molti erano intimoriti e in soggezione di fronte a tanti talenti. Dall’altro, alcuni erano competitivi e volevano emergere. Quincy Jones cercava di tenere a bada la classe, e di creare un clima di collaborazione e armonia.

Fu data la parola a Bob Geldof, l’ideatore della Band Aid, il progetto musicale che aveva ispirato We are the world. Geldof era appena tornato dall’Etiopia, dove aveva visto con i suoi occhi la drammatica situazione delle popolazioni colpite dalla fame e dalle malattie. Fece un discorso toccante, per mettere gli artisti nel mood della canzone. Raccontò come quella canzone avrebbe potuto aiutare, se ognuno avesse fatto la sua parte. Gli artisti furono commossi e motivati dalle parole di Geldof, e capirono che quella era un’occasione unica e speciale.

Una sola notte per creare un capolavoro. La tensione era davvero alta. Tra tutti i presenti, Bob Dylan era quello che si sentiva meno a suo agio. Dylan era un’icona del folk e del rock, ma non aveva di certo la voce di Stevie Wonder. Si sentiva fuori luogo e non sapeva come cantare la sua parte. Tra le luci e le 60 persone circa dentro la sala, l’aria si fece calda, e non solo a livello di temperatura. Stavano anche girando il video della canzone mentre si registrava, e questo aumentava la pressione e la visibilità. Passava il tempo e la preoccupazione saliva da parte di Quincy Jones e Lionel Richie. Richie si destreggiava tra i vari gruppi, chiarendo le situazioni di tensione e cercando di farli sentire a loro agio.

Ad un certo punto, salì la tensione anche perché Stevie Wonder propose di inserire una frase in Swahili, la lingua parlata in molti paesi africani. Wonder voleva rendere omaggio alle popolazioni che la canzone intendeva aiutare, e pensava che fosse un gesto di rispetto e di solidarietà. Ma molti altri non erano d’accordo. Pensavano che fosse una complicazione inutile, e che la canzone dovesse essere cantata solo in inglese, per raggiungere il maggior numero di persone. Si creò una discussione accesa, e si rischiò di rovinare il clima. Quincy Jones dovette intervenire e mediare tra le parti.

Alle 3 del mattino stavano ancora registrando. Finirono di registrare il ritornello, che doveva essere cantato da tutti gli artisti insieme. Era la parte più semplice e divertente, ma anche quella che richiedeva più coordinazione e precisione. Poi toccò alle strofe, con i singoli cantanti.

Stevie Wonder si mise al piano e cominciò a provare la canzone in acustico, alternandosi con gli altri cantanti in base a quali versi ognuno di loro avrebbe dovuto cantare. Fu lì che la canzone prese forma e si resero tutti conto della grandezza di quel progetto. Si creò un’atmosfera magica e intima, e tutti si sentirono coinvolti ed emozionati. Fu il momento più bello e significativo di quella notte.

Alle 4:40 del mattino cominciarono a registrare le strofe. Gli artisti si alternavano davanti a vari microfoni posizionati in tutta la stanza, e tra problemi tecnici e tanto altro si riuscirono a registrare le parti soliste. Ognuno diede il meglio di sé, e cercò di interpretare la canzone con il cuore e con la voce. L’ultima fase della registrazione fu dedicata ai grandi Bob Dylan e Bruce Springsteen. Dylan ebbe molti problemi con la sua registrazione e non riusciva a capire come interpretarla. Fu Stevie Wonder ad aiutarlo, mettendosi ancora al piano e cantando un po’ con lui. Dylan si lasciò guidare da Wonder, e riuscì a trovare il suo modo di cantare la canzone. Springsteen fu l’ultimo a registrare la sua parte, e lo fece con la sua voce potente e graffiante, che diede alla canzone un tocco di rock e di passione.

Alla fine, verso le 7 del mattino, il tutto finì subito dopo la registrazione di Bruce Springsteen. La registrazione delle voci era finita, e ora si sarebbe passato al lavoro in studio, per il missaggio finale. Verso le 8 anche Quincy Jones lasciò lo studio. In tutti loro c’era la sensazione di aver fatto qualcosa di grande. Qualcosa che avrebbe cambiato il pop e il mondo. Qualcosa che avrebbe portato speranza e amore a milioni di persone. Qualcosa che avrebbe dimostrato che la musica può fare la differenza. Qualcosa che si chiamava We are the world.

Foto by Henry Diltz (photographer). Distributed by Columbia Records.