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Unknown Pleasures: la storia dell’iconica copertina dell’album dei Joy Division

di Redazione
 
unknown pleasures

Era il 15 giugno del 1979 quando i Joy Division fecero il loro esordio sulla grande scena musicale con il loro primo album intitolato Unknown Pleasures: un disco passato alla storia non solo per la caratura dei suoi brani e per il messaggio contenuto nei testi ma anche e soprattutto per la copertina, realizzata dal grafico Peter Saville. Un’immagine, quella del diagramma bianco su sfondo nero, diventata ben presto iconica e il cui successo sconfinò anche al di fuori del campo musicale, in particolare nella moda, rendendola una realtà a sé stante, slegata dall’album. 

In queste righe andremo a ripercorrere le tappe principali che portarono alla nascita di quella storica cover e cosa si nasconde veramente dietro a quella immagine.

L’album Unknown Pleasures: il manifesto del gothic rock

I Joy Division, rock band britannica formatasi a Manchester nel 1977, fece il suo esordio con l’album Unknown Pleasurespubblicato nel 1979 dalla Factory Records. La band – formata da Ian Curtis (voce), Bernard Sumner (chitarra), Peter Hook (basso) e Stephen Morris (batteria) – con questo disco diede un impulso decisivo alla nascente scena dark/gothic rock tanto che l’album venne considerato una sorta di manifesto di quella corrente musicale. 

L’intero disco fu segnato da un percorso di dolore e sofferenza caratterizzato dall’ignoto e dalla continua tensione a cui è sottoposto il vivere dell’uomo, elementi che si rispecchiano nella celeberrima copertina. I brani di maggior successo furono Disorder, prima traccia dell’album che introduce subito al vortice di sofferenza che si respira lungo tutto il disco, New Dawn Fades, che con le sue sonorità e riff di chitarra esprime perfettamente il disagio interiore di Curtis, e She’s lost control che racconta della morte di un’amica del cantante a seguito di una crisi epilettica. 

Il lavoro del produttore Martin Hannett risultò centrale nella realizzazione dell’album con la ricerca maniacale di suoni e la cura dello studio di registrazione. Il suo comportamento autoritario inizialmente lasciò interdetti i componenti della band come confermato dal bassista Peter Hook: “Devo dire che fu molto divertente, anche se personalmente non ero d’accordo con il produttore Martin Hannett riguardo al missaggio dei brani – ha detto riguardo all’esperienza di registrazione dell’album in studio – Volevo fossero più rock, più duri e pesanti. Martin invece li aveva resi sognanti, eterei. Ero un po’ arrabbiato all’epoca, ma col tempo ho capito che Martin Hannett era stato assolutamente corretto. È il lavoro di Martin che ha permesso a quel disco di durare per sempre”.

La copertina: le onde radio trasmesse da una pulsar

Ciò che contribuì a rendere ancora più speciale il disco fu senz’altro la copertina che negli anni è diventata un simbolo non solo in campo musicale. L’immagine dell’album raffigura un diagramma bianco su sfondo nero che sta ad indicare un insieme di onde radio emesse da una pulsar, una stella di neutroni.

Il disegno si riferisce ad una pulsar in particolare, il CP1919, contenuto nel magazine Scientific American del gennaio 1971 e scoperto quattro anni prima da una studentessa americana, Jocelyn Bell, insieme al suo tutor Antony Hewish. Nel magazine il disegno era rappresentato nella sua versione originaria su sfondo azzurro ed era stato estratto dal lavoro di uno studente chiamato Harold D.Craft Jr. che aveva pubblicato il diagramma nel 1970 all’interno della sua tesi dal titolo “Radio Observations of Th Pulse Profiles And Dispersion Measures Of Twelve Pulsars“. 

L’idea della copertina nacque da un’intuizione del batterista Bernard Sumner che era anche un grafico e a quei tempi lavorava allo studio di animazione di Cosgrove Hall. Sumner si recava frequentemente alla biblioteca di Manchester e proprio lì, sfogliando il libro The Cambridge Encyclopaedia Of Astronomy, trovò il diagramma della pulsar in questione. Quando la band discusse con il grafico della Factory Records, Peter Saville, su quale immagine scegliere tra le copertine dell’album venne proposta, tra le altre, anche quella della pulsar CP1919 chiedendo che venisse realizzato con il colore nero su sfondo bianco. 

La scelta ricadde proprio sulla pulsar ma Saville, contrariamente alle intenzioni della band, decise di invertire i colori utilizzando così uno sfondo nero per un diagramma bianco. 

Il fascino generato dalla copertina dell’album fu tale che iniziò a sconfinare nel campo della moda: l’immagine del diagramma su fondo nero finì su moltissimi capi d’abbigliamento diventando un marchio ben riconoscibile nella cultura popolare e spesso slegato dall’album poiché le magliette venivano indossate anche da chi non ascoltava i Joy Division. 

Il significato della copertina e la spiegazione di Weltevrede

La copertina realizzata da Saville si sposò perfettamente con il messaggio di sofferenza e mistero veicolato dall’album. Nell’immagine vennero raffigurate delle frequenze del segnale scaturito dalla prima stella di neutroni mai osservata dagli uomini.

Alcuni anni fa è stato Patrick Weltevrede, docente alla University of Manchester, a spiegare in maniera più approfondita il significato cosmico della copertina dei Joy Division. Weltevrede ha condotto un esperimento analizzando la pulsar dall’osservatorio di Jodrell Bank, distante 23 chilometri dallo studio di registrazione di Stockport dove venne inciso il disco. 

Dalle osservazioni è emerso che le onde radio presenti nella copertina corrispondono a segnali di luce nello spazio. Ognuna delle 80 linee raffigurate nell’album rappresenta un impulso luminoso da onde radio e ogni flash registrato dalla pulsar è unico: esso, infatti, può essere brillante o tenue ma in alcun modo replicabile, a differenza di quanto avviene con la luce terrestre. Ed è proprio questo aspetto a costituire una metafora che si sposa perfettamente con la musica in quanto ogni emozione generata dall’ascolto del disco è a suo modo unica.