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Thanksgiving Day: una playlist per una serata americana

di Redazione
born in the usa copertina storia

Mancano pochi giorni al Giorno del Ringraziamento, tradizionale festa americana che affonda le sue radici nelle origini degli Stati Uniti, al tempo delle prime colonizzazioni e dei Padri Pellegrini. Dal XVII secolo a oggi, la festa viene ripetuta annualmente, anche se i tempi sono cambiati, e gli Stati Uniti sono ormai diventati una potenza mondiale, esportando in tutto il mondo anche la sua cultura.

Chi ama la musica americana, può sfruttare questa occasione per passare una serata “americana”, tra tacchino al forno e grandi brani.

Proprio per questa occasione, vi proponiamo una playlist per passare il Giorno del Ringraziamento all’insegna della grande musica americana.

Un po’ di rock tra i fornelli

Per festeggiare al meglio il Giorno del Ringraziamento, non si può prescindere dal tacchino al forno, piatto che viene cucinato tradizionalmente proprio in questa occasione. Essendo italiani, e non americani, possiamo anche variare il menu, proponendo piatti tipici nostrani: quello che è importante infatti è il senso di condivisione che anima lo spirito della festa. E allora mettiamoci ai fornelli, per preparare qualcosa di gustoso e appetitoso per i nostri ospiti. 

Ma qual è il miglior genere da ascoltare mentre cuciniamo? Noi proponiamo il grande rock americano, per darci una botta di energia mentre ci divincoliamo tra fornelli, pentole, mestoli, preparando gli antipasti, sorseggiando, perché no, un buon bicchiere di vino o una birra americana.

Iniziamo allora a comporre la nostra playlist.

Possiamo quindi partire con i Green Day, e il loro album più famoso, American Idiot, estrapolandone la title track e Wake Me Up When September Ends, i due brani più noti. Continuiamo poi con i Red Hot Chili Peppers: la band californiana è stata una fucina di successi, e quindi scegliere qualcosa in particolare è difficile. Puntiamo allora sui grandi classici, da canticchiare mentre prepariamo le nostre leccornie: Californication, Scar Tissue, Otherside, dall’album Californication del 1999. Diamo poi una sferzata per aumentare un po’ i giri mentre i nostri piatti stanno finendo di cuocere: mettiamo su qualcosa dei Guns ‘n’ Roses. Welcome to the Jungle, Sweet Child of Mine e Paradise City, dal disco Appetite for Destruction del 1987 sono brani perfetti per chiudere la prima parte della serata, aspettando l’arrivo dei nostri ospiti.

Una cena a base dei classici songwriter americani

Messi i piedi sotto il tavolino, è il momento di abbassare un po’ i toni, per far in modo da facilitare la conversazione, ma sempre senza rinunciare a della buona musica di sottofondo. Per rimanere nel tema della serata, e proporre qualcosa che sia tipicamente americano, possiamo virare sui grandi cantautori, che spesso hanno raccontato gli Stati Uniti osservandoli da un’altra prospettiva, quella degli ultimi, della frontiera, delle sue contraddizioni. Ma ciò non li rende “meno americani” di altri, anzi.

Quindi, selezioniamo un po’ di brani della tradizionale cantautoriale americana. In tal senso, come non iniziare dal menestrello di Duluth, colui che, partito dalla piccola cittadina del Minnesota, ha incarnato il sogno americano, trovando il successo nella esuberante e famelica New Tork degli anni Sessanta, diventando uno dei più grandi autori di sempre, fino a vincere il Nobel per la letteratura? Bob Dylan, e qui la scelta si fa ardua. Si può pensare di proporre qualcosa degli esordi, del suo periodo folk, come The Times They Are a-Changin’, oppure qualcosa di diverso, come Highway 61 Revisited, o ancora di più recente, come Love and Theft o Rough and Rowdy Ways.

Continuiamo con un altro mostro sacro, The Boss, al secolo Bruce Springsteen. Anche qui, la sua carriera pluridecennale ci fa navigare quasi senza rotta in un mare di successi. In questi casi, meglio puntare sul classico: noi consigliamo Born to Run, terzo album in studio e punto di svolta della sua carriera.

Andando verso la seconda parte della serata, cambiamo un po’registro, mettendo su qualcosa di Leonard Cohen, magari Songs from a Room, che ottenne un grande successo quando uscì nel 1969, passando poi a Simon and Garfunkel, con il loro più grande successo: Sounds of Silence.

Un dopocena da jazz club

Finita la cena, sparecchiata la tavola, è il momento di accomodarsi su divano e poltrone per continuare la serata. Ma cosa fare? Se si punta su un gioco da tavola, o se invece si preferisce continuare a chiacchierare in tranquillità con i propri amici e parenti, è meglio trovare qualcosa che accompagni di sottofondo, senza disturbare. Ma possiamo anche decidere di scatenarci ballando. L’importante, in ogni caso, è ricordarsi sempre che stiamo vivendo una serata a tema, e quindi la nostra scelta deve ricadere su qualcosa di fortemente identitario. E allora, dopo i grandi gruppi rock, dopo i celebri cantautori, come pensare di escludere il jazz, definita spesso come l’unica forma d’arte originale americana, con un senso certamente un po’ spregiativo. Ma quel che è certo è che il jazz è stata una vera rivoluzione nella storia della musica. 

Allora immergiamoci nelle atmosfere jazz americane, quelle trasgressive dei ruggenti anni Venti, con le note della grande big band di Duke Ellington, o con lo swing irrefrenabile di Benny Goodman, che rilanciò il genere dopo la Grande Depressione. Se invece preferiamo qualcosa di più calmo, con sonorità meno “scatenate” e melodie più meditative, viriamo senza dubbio sui due maestri del cosiddetto jazz modale, ossia Miles Davis e John Coltrane.

Insomma, pensiamo di avervi dato tutti gli ingredienti per passare una serata all’insegna della tradizione, culinaria e musicale, americana. Quindi, non ci resta che augurarvi buon appetito e…buon ascolto!