Spedizione gratis a partire da € 90

Franco Battiato, il musicista in cerca del silenzio

di Redazione
 
Addio Franco Battiato

Se n’è andato a 76 anni uno dei maestri della musica italiana. Artista complesso e poliedrico, ci lascia un’opera difficile da classificare: spazia dal progressive al pop, dalla lirica all’elettronica. Attraverso la poesia dei suoi testi ci ha insegnato che il vero viaggio è spirituale, lungo un sentiero ideale che va dalla sua Sicilia all’Oriente che amava.

Il primo album tra sperimentazioni e scandali

C’è una frase di Jonathan Swift che sembra scritta apposta per Franco Battiato: «Quando un genio viene al mondo lo si riconosce subito, tutti gli idioti si coalizzano contro di lui».

È il 1972 quando esce il suo primo disco, Fetus: un concept album ispirato a Il mondo nuovo, il romanzo di Huxley su una società dispotica in cui gli individui sono progettati in laboratorio. Sulla cover del disco campeggia l’immagine di un feto umano. Le reazioni non si fanno attendere: Fetus viene sequestrato.

Ma il vero e proprio terremoto è nella musica. Si tratta infatti di uno dei primi album italiani elettronici: l’uso del sintetizzatore, della batteria elettronica e dell’organo VCS3 contribuisce a creare melodie nel segno di una sperimentazione libera e anarchica, ma già consapevole dei propri mezzi. L’apparizione di Battiato sulla scena italiana avviene così, come per l’effetto di un abile gioco di prestigio. L’illusionista però non ricorre a trucchi: il suo è un gesto naturale, la sua voce è diretta e sincera. Per dirla con un brano di Fetus: «Non ero ancora nato che già sentivo il cuore».

Dalla new wave agli anni del grande successo

Se l’album successivo, Pollution, prosegue nel solco tracciato da Fetus, è con la pubblicazione di Clic nel ’74 che Battiato si allontana dalle sonorità sperimentali per sondare l’avanguardia contemporanea. Già il ’78 segna l’arrivo del primo effettivo successo del musicista, grazie a L’era del cinghiale bianco, disco new wave che unisce riff di chitarra e violino a giochi linguistici e testi scanzonati.

I riconoscimenti non tardano ad arrivare. «Ho passato gli anni ’70 a fare vocalizzi ed esperimenti» dirà Battiato anni dopo in un’intervista, spiegando il suo progressivo avvicinamento a uno stile più pop. «Poi ho deciso di avere successo. Mi sono chiuso un mese in un garage a Milano, e ne sono uscito con La voce del padrone».

E sarà indubbiamente il suo album più fortunato. La voce del padrone riesce a mettere d’accordo pubblico e critica, grazie ad atmosfere al tempo stesso raffinate e orecchiabili: canzoni leggendarie come Cuccurucucù Bandiera bianca, o l’indimenticabile Centro di gravità permanente, basata sulle teorie del filosofo Gurdjieff. È il primo disco italiano a superare il milione di copie vendute. Rolling Stone lo mette al secondo posto nella classifica dei 100 album italiani più belli di sempre.

«Un proletario dello spirito»

Battiato è un’asceta, un iniziato, un mago che crea un’alchimia unica di parole e musica. Pur avendo scalato le classifiche del pop italiano, non può accontentarsi. Nei suoi occhi c’è la quiete mistica del monte Athos, che visita per capire cos’è la preghiera, o quel silenzio sacro che si cela nelle liturgie cantate dai monaci.

Ma quando il suo sguardo si rivolge all’Italia degli anni ’90, intrisa di corruzione e malaffare, la reazione è di protesta, di nobile furore: il risultato è un brano come Povera patria, un testo di denuncia civile, un gesto di accusa nei confronti dei governanti, definiti «perfetti e inutili buffoni».

Battiato canta per riscattare la vita che vede dappertutto offesa. Sfugge dichiaratamente alle semplificazioni della politica. Così risponde a chi gli chiede dove si colloca: «Io sono un proletario dello spirito. Non mi piace comandare, e non mi piace essere comandato».

Una preghiera cantata

La spiritualità che percepiamo nelle sue canzoni non è che il riflesso di un’esistenza condotta seguendo l’insegnamento dei mistici orientali. Battiato faceva meditazione due volte al giorno: grazie ad essa riusciva a emanciparsi «dall’incubo delle passioni».

Tra il 1995 e il 2012, la produzione dell’artista si avvale della collaborazione con il filosofo Manlio Sgalambro, autore dei testi delle canzoni. Nell’album L’imboscata, una delle opere più intense del duo, troviamo La Cura: un’ode all’amore in cui il musicista esorta la persona amata a guarire attraverso musica e poesia. In tempi difficili come i nostri, è un messaggio più attuale che mai.