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La copertina di Born in the Usa: un jeans e un berretto per fare la storia del rock

di Redazione
 
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Continuiamo oggi il nostro viaggio alla scoperta delle storie delle copertine degli album più iconiche di sempre. Oggi vi proponiamo quella di Born in the Usa di Bruce Springsteen. Un album con cui il Boss ci ha regalato alcuni tra i suoi brani più celebri e notevoli, tra cui la title track, Dancing in the Dark, I’m on fire, My Hometown, e altri ancora. Ma il disco viene ricordato anche per la sua cover, una delle più famose della storia del rock: un jeans, un berretto da baseball, e una bandiera americana sullo sfondo. Tre immagini che rappresentano gli Stati Uniti, ognuna con la sua portata simbolica, che, insieme al titolo dell’album e dell’omonima canzone, contribuirono a generare fraintendimenti sull’interpretazione data al disco. 

Ma non anticipiamo altro, e andiamo insieme alla scoperta della storia della copertina di Born in the Usa.

Born in the Usa: un album frainteso

Quando nel 1984 Bruce Springsteen pubblicò Born in the Usa, tornando contestualmente alle esibizioni live dopo un periodo di uscita dalle scene, l’album fu accolto positivamente dal pubblico, raggiungendo la vetta delle classifiche di mezzo mondo, dagli Stati Uniti all’Inghilterra, dall’Australia al Canada. Nel nostro Paese scalò la classifica fino al secondo posto. Ma non tutti capirono subito, o finsero di non capire, quale fosse il vero significato del disco. Del resto, bisogna essere sinceri, a uno sguardo superficiale, il titolo poteva anche indurre a incomprensioni. “Nato negli Stati Uniti” poteva infatti essere interpretato come una invocazione fortemente  e orgogliosamente patriottica, di esaltazione dell’America, della sua storia e di ciò che era e rappresentava in quel momento. La politica cercò di appropriarsene a fini propagandistici ed elettorali. Ronald Reagan dichiarò che il brano era da considerare alla stregua di un inno di speranza per il futuro degli Stati Uniti. Il presidente era intenzionato a utilizzarlo durante la campagna elettorale per la rielezione, ma Springsteen rifiutò, perché riteneva che se ne sarebbe fatto un utilizzo distorto rispetto al messaggio originale (e anche perché, aggiungiamo noi, il Boss è stato sempre dichiaratamente democratico).

Ma il Boss aveva tutt’altre intenzioni.

Born in the Usa: un inno per l’America dimenticata

L’album è infatti incentrato su tematiche che mettono in risalto le forti contraddizioni degli Stati Uniti, e tutti i suoi problemi, a partire da quello della guerra del Vietnam. Un momento tragico per il Paese, che segnò la fine di una presunta “innocenza” degli Usa, dimostrando allo stesso tempo la loro fallibilità. E cosa dire di tutti quei giovani andati a morire per qualcosa che in fondo, forse, nemmeno comprendevano; e di tutti quelli tornati e segnati indelebilmente da ciò che avevano visto, e fatto, in guerra, e che continuavano a faticare a trovare il loro spazio nella società. I reduci, e le fasce più povere, due volti dell’America, a volte sovrapposti, che Springsteen erge a protagonisti dell’album (e di molta della produzione del Boss), mentre sono ai margini della vita del Paese. 

Springsteen canta proprio di questo: di un sogno americano spezzato, forse mai esistito, di una nazione arrivata a un punto della sua storia in cui fare i conti con sé stessa. 

Ma attenzione, ciò non significa che il Boss non sia fieramente americano: ma questo non significa restare inermi davanti alle storture del sistema, accettarle passivamente. Americani sì, orgogliosi di esserlo, ma non per questo ciechi. Una linea di pensiero che guida e ha guidato molti altri cantautori statunitensi, cantori dell’America, delle sue bellezze e delle sue contraddizioni, a partire da Woody Guthrie fino a Bob Dylan.

La copertina di Born in the Usa: storia e significato

A creare i fraintendimenti intorno all’album non fu solo il titolo, ma contribuì anche la copertina. La foto fu scattata da Annie Leibovitz, e immortala Springsteen di spalle, ritratto con indosso una maglietta e dei jeans, dalla cui tasca posteriore destra penzola un berretto da baseball (lo sport americano per antonomasia). Sullo sfondo, sono ben riconoscibili le classiche strisce della bandiera americana. Anche gli indumenti riprendono i colori della bandiera degli Stati Uniti: il bianco della t-shirt, il blu dei pantaloni e infine il rosso del cappellino. Proprio questa evidente simbologia alimentò i qui pro quo intorno all’interpretazione dell’album e della title track, facendola percepire intuitivamente come una celebrazione acritica degli Usa, elidendo in questo modo però tutti gli aspetti più politici presenti nel testo di Born in the Usa, e in generale di tutto l’album. Ma non si tratta nemmeno di una provocazione fine a sé stessa (mettere il proprio fondoschiena in evidenza potrebbe anche apparire tale), tantomeno di una mancanza di rispetto. Springsteen affermò che la scelta non fu intenzionale, che furono scattate un gran numero di fotografie e, alla fine, la foto del suo lato B era meglio della foto della sua faccia. 

Scelta oculata e ponderata, o occasionale? Ai posteri l’ardua sentenza, direbbe qualcuno. Quel che è certo è che la copertina rimane una delle più iconiche di tutti i tempi, combinando perfettamente immagine e contenuto del disco.