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Il jazz: dalle origini ai giorni nostri

di Redazione
 
storia jazz

Nell’articolo di oggi torniamo a parlare di uno dei generi musicali che più ha innovato, influenzato e cambiato la musica del Novecento: il jazz. Nato agli inizi del XX secolo nella zona del delta del Mississippi, il jazz ha seguito un percorso che lo ha portato a conoscere un vero e proprio boom nei primi decenni del Novecento, passando poi per una sorta di “crisi” nel periodo bellico e post-bellico, a cui è seguita una nuova era caratterizzata da importanti trasformazioni stilistiche.

Andiamo quindi alla scoperta delle età del jazz, dalle origini al boom degli anni Venti, fino alle nuove forme assunte nel secondo dopoguerra, passando per un momento di ripensamento del genere a cavallo tra la crisi economica degli anni Trenta e la fine della Seconda guerra mondiale. 

Le origini e il boom del jazz

Come detto, il jazz nasce negli Stati Uniti, in particolare nella zona del delta del Mississippi (New Orleans, tanto per intenderci meglio). Come spesso accade in questi casi, soprattutto per quel che riguarda i generi musicali nati dalla tradizione culturae afroamericana in America, delle origini del termine “jazz”, sappiamo poco, e le interpretazioni in tal senso si sprecano. La parola “jazz” viene documentata su un quotidiano nei primi anni Dieci del Novecento, periodo nel quale il nuovo genere si sta pian piano affermando, soprattutto grazie all’attività di grandi interpreti e gruppi musicali, di cui il più famoso è l’Original Dixieland Jazz Band, formata da soli bianchi e guidata dall’italoamericano Nick La Rocca. Le fortune del jazz sono però legate indubbiamente al decennio successivo, quei famosi roarin’ twentiesrappresentati in maniera magistrale da scrittori del calibro di Francis Scott Fitzgerald (come non pensare proprio alla raccolta I racconti dell’età del jazz, ma anche a pagine memorabili come quelle de Il Grande Gatsby).

Il nuovo genere musicale si sposava perfettamente con l’aria di ottimismo che si respirava negli Stati Uniti usciti vincitori dalla Grande guerra. Un’atmosfera condita da speranza nel futuro, disincanto, spensieratezza, voglia di divertimento, di cui il jazz diventa un vero e proprio simbolo. Se oggi parliamo di età del jazz, ci riferiamo senza dubbio agli anni Venti. 

In questo periodo il centro del jazz si sposta in due direzioni. La prima, da New Orleans a Chicago (seguendo le migrazioni interne del periodo, in cui i neri cercavano una nuova e migliore vita nelle zone più industrializzate), dove trovano spazio musicisti come Louis Armstrong o King Oliver. Ma il cuore pulsante del jazz non solo come genere musicale, ma anche come simbolo di un’epoca, diventa New York, in cui il jazz entra nelle sale da ballo, facendo da colonna sonora alle notti della Grande Mela, con le esibizioni delle grandi big band, come quella di Duke Ellington

Il jazz tra crisi e rinascita

Quando la crisi del ’29 inizia a far sentire i suoi effetti a livello sociale, anche il jazz, che ben si era coniugato con l’ebbrezza del decennio precedente, attraversa un periodo di crisi, legata a quella più generale dell’intrattenimento musicale. Tuttavia, si sa come da ogni crisi possa sempre nascere una nuova occasione. La rinascita del genere è legata al nome di Benny Goodman, che innovò il genere, conferendogli un ritmo costante ma allo stesso tempo un’accelerazione progressiva, che lo rese ancor più ballabile: era nato lo swing. Le grandi orchestre, come quella di Goodman, di Duke Ellington, ma anche di Cab Calloway e Count Basie (e tanti, tanti altri ancora) tornarono sul palcoscenico, riprendendo nuova linfa e tornando alla ribalta. New York divenne la capitale del jazz: il Cotton Club di Harlem, i locali del Greenwich Village e di Broadway, animavano nuovamente la “Città che non dorme mai”, con artisti come Billie Holidaye Art Tatum che accompagnavano le notti con ritmi più rilassati e distesi. Ma questa non è certo la fine della storia.

Il jazz, infatti, forse proprio per la sua natura, è un genere che vive di continue trasformazioni. È quel che accadde a metà anni Quaranta, grazie alle intuizioni di grandi artisti, che diedero vita a un nuovo sottogenere: il bebop. Caratterizzato da tempi molto rapidi e elaborazioni armoniche innovative, che esplodevano nelle jam session, il bebop fu portato alla ribalta da musicisti quali Dizzy GillespieCharlie ParkerThelonious Monk. Come negli anni Venti, anche negli anni Cinquanta il jazz, nella sua nuova forma, si andò a sovrapporre ai cambiamenti sociali, soprattutto per il suo carattere trasgressivo, nel quale si identificarono per esempio molti dei giovani della Beat generation (e anche in questo caso, pensiamo alla letteratura, con le pagine di On the Road di Kerouac, in cui i protagonisti vagano nella notte tra un locale all’altro, estasiati dalle performance dei bopper).

Il jazz: un genere in continua trasformazione

Ma non c’era solo il bebop. Il jazz, infatti, non può essere incatenato in un’unica classificazione. Negli anni Cinquanta fiorì infatti il sottogenere del cool jazz, che aveva melodie più morbide, e sonorità che ricercavano una certa armonia più raffinata rispetto al bebop. L’esponente di spicco del cool jazz fu sicuramente Miles Davis

Dalla fine degli anni Cinquanta a oggi, il jazz ha subito innumerevoli trasformazioni. Gli anni Sessanta sono stati caratterizzati per la creazione di tre sottogeneri fondamentali. Il primo era il soul jazz, in cui si avvicinavano le sonorità del jazz a quelle del rhythm and blues. Il secondo fu quello del cosiddetto jazz modale, rappresentato in maniera esemplificativa in Kind of Blue di Miles Davis, ma anche nei lavori di John Coltrane, e caratterizzato da melodie più meditative e uno stile più “intellettuale”. Infine, in quel periodo prese vita il free jazz, nome preso dal lavoro di Ornette Coleman, il quale, come indica lo stesso nome, si fondava su una totale libertà espressiva degli interpreti, che potevano improvvisare contemporaneamente, seguendo la propria fantasia e il proprio estro, ma allo stesso tempo dovendo conferire al brano un senso di coerenza. Il free jazz prevedeva quindi che ritmo e metrica, come erano stati intesi fino a quel momento, venivano frammentati e resi totalmente irregolari. Il free jazz alimentò non poche discussioni all’interno del mondo musicale, sia per gli eccessi a livello sonoro e di melodia che ogni tanto si raggiungevano, sia per il suo netto distaccamento dalla componente popolare che aveva marcato il jazz dalle sue origini.

Nei decenni successivi, il jazz dovette fare i conti con una graduale perdita di popolarità e di centralità nel panorama musicale, dovuta soprattutto alla diffusione della cultura di massa e all’esplosione di altri generi musicali, come il pop e il rock. Il jazz però non scomparve, grazie alla sua capacità di integrare e allo stesso tempo influenzare le nuove tendenze, subendo e guidando contaminazioni nella soul music, nel rock (soprattutto il progressive), nel funky.

Nato sul delta del Mississippi, cresciuto a Chicago e New York, simbolo prima dei “ruggenti anni Venti” e poi della beat generation, segnato da innovazioni e contaminazioni, il jazz è stato, ed è, molto più di un semplice genere musicale.